Data la natura dell’articolo, è necessario che abbiate letto prima l'albo perché non solo certe informazioni si apprezzano solo conoscendo la trama in questione ma, soprattutto, la lettura di questo testo potrebbe rovinarvi i colpi di scena presenti. Quindi se ancora non lo avete letto ma avete intenzione di farlo, NON PROSEGUITE OLTRE LA LETTURA.
PANDEMIA – I soggetti di Diabolik nascono, in massima parte, a tavola. Se ne parla tra una forchettata di pasta e un bicchiere di vino. Poi, ovviamente, ci si lavora a casa, scrivendo al computer quanto ci si è detto, sviluppando scene e tappando eventuali buchi. Ma la serie di pranzi dedicati a ciascuna storia è, ormai, un’utile tradizione consolidata.
Questo soggetto è stato scritto verso la fine del 2020, in piena ondata Covid e con tutti i ristoranti chiusi. Quindi, in maniera per noi del tutto irrituale, non è stato sviluppato “in presenza” ma la lavorazione è avvenuta esclusivamente via mail.
FARACI – Come dico spesso, raramente scrivere per Diabolik è una performance da “solisti”, è sempre piuttosto un lavoro corale. Anche in questo caso un po’ lo è stato ma, proprio a causa del sistema di lavoro più isolato del solito, stavolta il grosso delle idee viene tutto dalla stessa fonte: Tito Faraci. Le due trovate principali, ossia l’ispettore Ginko che indaga in incognito che poi scopriremo essere Diabolik e il serial killer imprendibile che poi scopriremo essere una coppia di assassini, c’erano già nella primissima mail in cui Tito ci ha sottoposto il suo spunto. Poi Mario Gomboli e il sottoscritto gli hanno dato una mano su alcuni aspetti più spicci della trama, ma tutta l’ossatura della storia è farina del sacco di Tito.
BARLIN – Nelle primissime mail in cui se ne parlava, l’albo non aveva una precisa ambientazione se non quella di una generica, ricca, cittadina di provincia. L’idea di ambientarlo a Barlin è venuta a Tito perché, proprio in quei giorni, stava ultimando la sceneggiatura del Grande Diabolik con il remake degli episodi “Sepolto vivo”/“Il treno della morte” il secondo dei quali è, in parte, ambientato in quella cittadina, cittadina che mostrava di avere tutte le caratteristiche giuste anche per questa storia. L’ambientare il tutto a Barlin gli ha anche permesso di far tornare il commissario Walié già apparso all’epoca.
Piccolo dietro le quinte aggiuntivo: la scelta di realizzare quel remake era stata presa qualche mese prima, in pieno lockdown, quando ci si doveva ancora abituare a lavorare non solo senza ristoranti, ma anche senza gli uffici della redazione e senza potersi incontrare in alcun modo. Si è pensato che il non partire da zero, ma lavorare invece con “sotto” due tra gli albi più significativi della prima serie di Diabolik avrebbe aiutato.
TITOLO – Dopo un paio di mail in cui la storia s’intitolava “idea” o “incipit”, con la scelta della location il titolo provvisorio è diventato “Ritorno a Barlin” poi, in fase di sceneggiatura, è stata rinominata “Firmati col sangue”. Il titolo definitivo, “Il marchio dell’assassino”, è stato deciso a disegni conclusi, durante la realizzazione della copertina.
RESTYLING – A proposito di disegni, abbiamo dovuto affrontare la questione di come mostrare, al giorno d’oggi, le divise dalla polizia di Barlin. Questo perché ne “Il treno della morte” (albo uscito nel 1963) era molto evidente che le uniformi della polizia di Barlin fossero diverse da quelle della polizia di Clerville città. Differenza poi puntualmente ripresa anche nel remake uscito la scorsa estate. Ai giorni nostri però abbiamo visto in mille occasioni che le divise dei poliziotti sono uguali in tutto lo Stato di Clerville. Abbiamo quindi immaginato che, all’epoca, la polizia fosse organizzata in modo più federale rispetto a oggi e che, nel tempo, fosse stata riformata. Detto in altre parole: abbiamo deciso di uniformare le uniformi.